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L'Amministrazione dà prova di responsabilità e coraggio

05-07-2006 / A parer mio

di Pierluigi Masetti

In una lettera di qualche giorno fa a un quotidiano locale, un cittadino si chiedeva perché i ferraresi si esprimano sempre negativamente sulla gestione e sulle scelte dei propri amministratori, salvo confermare alle stesse forze politiche il proprio voto in modo pressoché costante ad ogni tornata elettorale.
Le risposte, a mio parere, sono due: 1) chi esprime pubblicamente lamentele o dissenso è la minoranza della popolazione, mentre la maggioranza è contenta ma non lo dice; 2) la maggioranza dei cittadini, pur non gradendo tutto e magari esprimendo contrarietà su singoli argomenti, approva complessivamente l'operato degli amministratori che ha eletto e cui riconferma la fiducia.
E' certo che, amministrando una composita comunità di cittadini -molto spesso contrapposti per interessi su grandi o piccoli temi- è impossibile ottenere un giudizio positivo unanime.
Il verdetto definitivo del quinquennio di carica è la prova del voto (pro-capite, dice la legge, nel senso di testa pensante), che attesta l'apprezzamento o meno delle politiche attuate nel mandato e proposte per quello nuovo.
Non sarebbe però male che la moltitudine dei non-arrabbiati reagisse alla sfilza di contumelie e proteste, con contributi positivi a un dibattito pubblico che non può registrare solo le voci contrarie.
La democrazia (inventata dai civilissimi greci) è fatta di confronto di opinioni durante tutto lo svolgimento della vita civica, non solo dell'esercizio segreto del diritto di voto.
Sono un cittadino contento dell'amministrazione ferrarese e lo voglio dire.
Dò atto, per mille esempi sicuramente migliorabili, della responsabilità e, a volte, del coraggio delle decisioni, oltre che della volontà di comunicare e di spiegare. Do atto della capacità di tenere insieme espressioni non sempre concordi, condividendo un disegno grande. Non so di decisioni a porte chiuse sulla testa dei cittadini o per il loro male.
Anche nella controversa vicenda della turbogas, le autorizzazioni comunali sono state concesse dopo approfondimenti rassicuranti. Ho fatto, peraltro, tesoro della dichiarazione del sindaco: qualora avessi elementi contrari da fonti scientifiche ufficiali, la fermerei.
Certamente, quando si toccano temi vicini alla salute, si fa leva sulla vulnerabilità umana e vengono sensibilizzati i nervi scoperti di tutti, soprattutto di chi è toccato dal male. Di fronte alla realtà ineluttabile della malattia, la disperazione tende a cercare responsabilità, si aggrappa a tesi convenienti e anela a vendette. Ma è il giusto movente per seminare allarme?
La vendetta personale, purtroppo, appare come la matrice di molte pubbliche espressioni arrabbiate, che trascinano molte persone sull'onda emotiva.
Non mi convincono:
- gli ex-dirigenti del comune o di aziende pubbliche, che saltano sui carri di rivolta e non risparmiano veleni agli enti che li hanno rifiutati o sostituiti;
- gli ex-comici, che hanno dichiarato guerra al mondo dopo le proprie vicende in rai, trovando un nuovo filone di notorietà;
- i comitati sorti intorno alla tutela di interessi particolari ed egoistici (strada zona boschetto progettata ben prima dell'urbanizzazione; asilo di via del salice);
- chi produce rifiuti ma boccia qualsiasi forma di smaltimento;
- chi invoca lavoro per tutti ma non esita a ostacolare qualsiasi insediamento produttivo;
- chi distingue gli immigrati in buoni o cattivi a seconda dei documenti in regola e comunque non li vuole nel proprio quartiere;
- chi conduce crociate in favore degli animali, restando indifferente dinanzi alle povertà e i bisogni umani;
- chi sa solo dire no senza proporre alternative credibili; chi condanna senza conoscere a fondo le questioni;
- chi sta comodamente a casa senza responsabilità sociali e non riconosce alcun merito a che se le prende.
Gli americani, avendo vissuto molto prima di noi queste contrapposizioni sociali, hanno coniato una locuzione efficace "not in my garden", cioè "fate quel che dovete fare, ma non vicino a me".
Dobbiamo riprendere il senso civico, perdere un po' dell'edonismo diffuso del terzo millennio che mette il singolo individuo al vertice della piramide dei valori, entrare nella logica del dovere oltre che in quella del diritto, abituarci a confrontarci sulle diverse opinioni rispettando quelle altrui, con l'obiettivo comune di una società integrata in cui tutti stiano meglio, anche se ciascuno rinunciando a qualcosa.