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La segnalazione: "Il Bardo della Selva Nera" di Vincenzo Monti

24-07-2006 / A parer mio

di Giuseppe Muscardini

Parlare di un libro che non si trova in libreria è imbarazzante. Vista la ricorrenza e vista l'autorità letteraria dell'autore - che legò il suo nome a Ferrara -, dovremmo per la verità trovarne una riedizione nel 2006. O andare alla Biblioteca Ariostea. Serva da stimolo, la presente segnalazione, per gli editori disattenti che quest'anno trascurano Vincenzo Monti e il suo Bardo della selva nera (1806), nonostante il bicentenario della prima uscita a stampa sia stato ricordato dalla qualificata rivista «Charta».
Vincenzo Monti era appena stato nominato storiografo del Regno d'Italia, quando pubblicò nel 1806 Il Bardo della selva nera. Da poco meno di un anno aveva incontrato Napoleone Bonaparte a Monaco di Baviera, ricevendone quell'impressione folgorante che riempie di versi la mente e il cuore dei poeti quando si trovano davanti ai grandi uomini. Il Bardo ebbe successo, ma per la critica letteraria resta ancora l'opera più complessa e controversa di tutta la produzione montiana. Densa di contaminazioni neoclassiche e romantiche, di elementi letterari talvolta fuorvianti rispetto al tema e al genere, uscì in quello stesso anno in edizione fiorentina, bresciana e parmense. Senza appello pare il severo giudizio del Foscolo, il quale affermò che l'idea concepita dall'autore sulla macchina di questo poema apparisce oltremodo puerile. In effetti ai critici il tema è sempre parso debole per l'anacronistico recupero della figura del bardo, un poeta medievale germanico risputato dal Monti nell'epoca napoleonica. Eppure il poemetto epico lirico si rende interessante in rapporto agli eventi biografici successivi, che vedranno il poeta romagnolo cambiare entusiasmi ed orientamenti ideologici, con l'animo del cortigiano che si adatta agli eventi del suo tempo.
Volendo estendere l'indagine alla fortuna del Bardo, è inevitabile imbattersi nella più tarda edizione della gloriosa Tipografia Elvetica di Capolago, che proprio con quest'opera inaugurò nel 1830 l'ampio catalogo di una produzione durata un quarto di secolo. L'edizione ticinese rendeva così giustizia a Vincenzo Monti, non tanto sul valore letterario del Bardo, quanto piuttosto per la conseguente assoluzione dalle accuse di opportunismo politico che la storia attribuiva il suo autore. Nel 1830 il poeta era scomparso da appena due anni, e la riedizione di Capolago diventava celebrativa solo in ragione dei temi patriottici presenti nel poemetto, che a molti era invece parso insipido, confuso, mal costruito e privo di spessore e organicità. In un delicatissimo momento storico in cui si preparavano azioni decisive contro l'Austria, gli esuli italiani in Ticino che sostenevano la causa dell'indipendenza, non potevano ignorare la potenza delle evocazioni epiche contenute nel testo. Attorno alla Tipografia Elvetica convergevano forze risorgimentali illuminate e lungimiranti, per prendere seriamente i presunti voltafaccia di un letterato che dopo la caduta di Napoleone aveva rivolto i suoi encomi lirici alla Reggenza austriaca in Italia. L'edizione capolaghese è scarna, essenziale, ispirata alle idee più che all'estetica, ma il cuore del Monti non resse fino al 1830 per poterla vedere e giudicare. Quel cuore fiaccato dall'emiplegia, ora giace in un'ampolla di vetro trasparente all'interno di una vetrinetta Impero presso la Biblioteca Ariostea. E alla Biblioteca Ariostea - mirabile dictu - giace anche l'edizione capolaghese del Bardo, considerata rarissima dai bibliofili. Collocazione Caretti, Rari A0033. Vista la preziosità, si leggano quelle pagine con la mente rivolta alle idee più che all'estetica. Servirà a stemperare le recenti polemiche sui disservizi della nostra Biblioteca Comunale.


Il Bardo della Selva Nera, Capolago, Tipografia Helvetica [Caretti, Rari, A0033]